Quante volte abbiamo sentito parlare di emergenza anziani? Abbandonati a se stessi, messi ai margini della comunità, vengono dipinti essenzialmente come un problema. Ed è inutile girarci attorno: in alcuni casi ciò è vero. In una società che ci chiede sempre più di correre, di essere produttivi il più possibile, sono pochi coloro i quali hanno il tempo di pensare al nonno o alla nonna, sono pochi coloro i quali sono capaci di comprendere i loro ritmi, i loro problemi, sono pochi coloro i quali si armano di affetto e pazienza necessaria per fargli compagnia. Ed io non sono sicuramente esente da colpe: mi rammarico sempre di andare a trovare i nonni meno di quanto potrei. Eppure ho ben chiara una cosa: i nonni sono una risorsa, una vera e propria miniera. Non voglio analizzare questo pensiero: l’importanza di un nonno o di una nonna è un argomento che non si affronta razionalmente.
Mi limiterò semplicemente a riportare una conversazione realmente avvenuta tra me e mio nonno. Una domenica pomeriggio, dopo aver pranzato, mio nonno si siede in poltrona, evidentemente stanco e assonnato. Io mi seggo di fianco a lui, e improvvisamente mi domanda:
“Antonio, ma ora quanti anni ho?”
“Novantadue nonno, li hai compiuti a gennaio. Sei nato nel 1924 ed ora siamo nel 2016…”
“Novantadue! Incredibile…Nipote mio, fidati di me, la vita è segnata!”
“In che senso nonno? Perché dici così?”
“Perché dico così? Perché me l’ha insegnato la mia storia! Ascoltami: mi raccontava mio padre che ero nato da poco, ero in fasce, in braccio a mia madre (immagina che piacere!), e ci trovavano su di una carrozza. Mia madre era disperata, piangeva senza sosta. Ad un certo punto, da un’altra carrozza, una voce di donna attirò l’attenzione dei miei genitori: « Signora! Signora! Perché piangete così?» chiese la donna. Mia madre, in un primo momento era titubante, ma poi si rese conto della condizione sociale della donna, in poche parole era molto ricca, e allora si sfogò: «Signora cara, piango perché non ho latte da dare al mio bambino! Stiamo girando da giorni, ma i medici non sanno come aiutarmi. Senza latte…». La signora allora si propose: «Datelo a me signora bella, ho partorito da poco, vediamo se si prende il mio!». Mio padre mi raccontava che mia madre mi porse tra le braccia della donna, ed io, attaccatomi al petto, succhiai in continuazione, fin quando non mi addormentai, sazio e felice.
Decisero allora di accordarsi: in cambio di un conguaglio mensile (mio padre all’epoca guadagnava benissimo, prima dell’avvento del fascismo, ma questa è una storia che ti racconterò un’altra volta), io sarei rimasto da questa signora fin quando non sarei stato completamente in forze. Ho vissuto due anni a Casal di Principe, con la “paesana” e suo marito. Ricordo poco o niente di quel periodo, figurati ero piccolissimo, ma ogni tanto ho qualche flash: ricordo ad esempio che percorrevo il paese sulle spalle di questo signore, il quale si divertiva a farmi salutare con rispetto dai suoi compaesani (se ho capito bene doveva essere uno dei “guappi” di quella zona). Insomma, nonostante la nebbia fitta che ricopre i ricordi di quei due anni, crebbi felice, forte e sano, per poi fare ritorno dalla mia famiglia (non senza qualche difficoltà, dato che i “paesani” si erano molto affezionati a me). Ed è per questo che ti dico che la vita è segnata! Siamo predestinati! Grazie a quel latte, ho campato novantadue anni, in buona salute ringraziando il Signore. Se quel giorno i miei genitori non avessero incontrato quella donna, io avrei fatto la fine dei miei fratelli e di mia madre: i primi morti tutti giovanissimi, la seconda morta quando io avevo sette o otto anni! Ed è per questo che ti dico che la vita è già scritta, che le nostre scelte non sono casuali. No, assolutamente, non si tratta di casualità, è tutto programmato, è tutto scritto. Non so se si tratta di Dio o di qualche entità superiore, non è importante: siamo predestinati, sì! E ti posso fare mille altri esempi: tipo quella volta che giovanissimo, avrò avuto si e no 16 anni (lo sai, sono stato il ragazzo italiano più giovane di sempre ad arruolarsi in marina, uscii anche sul giornale!), mi beccai un malanno e mi diedero la licenza per una settimana, e così tornai a casa per un po’. Il giorno dopo, stesso il giorno dopo, la nave su cui viaggiavo e su cui mi sarei trovato sicuramente se non fossi stato malato, fu attaccata: non si salvò nessuno. Oppure quella volta che, a guerra in corso, mi trovavo dietro ai Vergini e cominciò a suonare l’allarme: preso dal panico decisi di ripararmi in quello spazio sottilissimo che intercorreva tra il marciapiede ed una macchina parcheggiata lì. Ebbene, ricordo con precisione quando una scarica di proiettili mi passò a cinque, massimo dieci centimetri dal volto! Sento ancora l’aria smossa dagli spari sul mio viso: un piccolissimo movimento e…
Basta, non voglio affliggerti più. Sappi però che la vita è destinata, segnata, scritta. Ed era scritto che, alla veneranda età di novantadue anni, dovevo trovarmi qui seduto su questa poltrona a raccontarti questa storia…”.
Un quarto d’ora di conversazione con mio nonno ha generato in me più riflessioni che cinque anni di università. La breve storia che mi ha raccontato è stata capace di emozionarmi più di qualsiasi romanzo letto negli ultimi dieci anni.
D’altronde non c’è scrittore o romanziere che tenga: mio nonno è, e resterà per sempre, il mio cantastorie preferito.
Questo articolo è stato scritto nel 2016. Mio nonno è venuto a mancare nel 2018.